“Amarcord”, che in dialetto romagnolo significa “mi ricordo”, è il film più autobiografico di Federico Fellini, un’opera intrisa di nostalgia e di affetto per la sua terra natale.
Attraverso una narrazione frammentata e onirica, il regista rievoca la sua infanzia e la sua adolescenza nella Rimini degli anni ’30, regalandoci una galleria di personaggi indimenticabili e dialoghi che sono veri e propri gioielli di poesia.
Questo articolo vuole esplorare alcune delle frasi più significative del film, cercando di capire come contribuiscono a definire la poetica del ricordo e il mondo felliniano.
Scheda tecnica
- Titolo originale: Amarcord
- Regia: Federico Fellini
- Soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra
- Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra
- Produzione: F.C. Produzioni, P.E.A. (Produzioni Europee Associate)
- Distribuzione: C.I.C. (Compagnia Italiana Cinema)
- Anno di produzione: 1973
- Paese di produzione: Italia, Francia
- Genere: Commedia, drammatico, grottesco, autobiografico
- Durata: 123 minuti
- Formato: Colore
- Fotografia: Giuseppe Rotunno
- Montaggio: Ruggero Mastroianni
- Musiche: Nino Rota
- Scenografia: Danilo Donati
- Costumi: Danilo Donati
Cast principale:
- Magali Noël: Gradisca
- Bruno Zanin: Titta Biondi
- Pupella Maggio: Miranda Biondi, madre di Titta
- Armando Brancia: Aurelio Biondi, padre di Titta
- Ciccio Ingrassia: Teo, zio di Titta
- Giuseppe Ianigro: Nonno di Titta
- Josiane Tanzilli: Volpina
Frasi celebri
- Il nonno: ma dov’è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Ma se la morte è così… non è mica un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino. Tè cul!
- Calzinazz: mio nonno fava i mattoni, mio babbo fava i mattoni, fazzo i mattoni anche me’, ma la casa mia n’dov’è?
- Giudizio: le manine scoincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anche là. Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace. Sorvolano il lungomare come i tedeschi… datesi che il freddo non lo sentono loro. Ai… Al… Vagano, vagano. Girolanz… Gironzano… Gironzalon… Vagano, vagano, vagano!
- Ciccio: qual gentil donzella, tu mi appari Aldina bella, e in tutto il tuo folgore, mi fai battere forte il cuore.
- Aurelio: guarda quante ce ne sono, oh. Milioni di milioni di milioni di stelle. Ostia ragazzi, io mi domando come cavolo fa a reggersi tutta sta baracca. Perché per noi, così per dire, in fondo è abbastanza facile, devo fare un palazzo: tot mattoni, tot quintali di calce, ma lassù, viva la Madonna, dove le metto le fondamenta, eh? Non son mica coriandoli.
- Titta: a me mi fa svenire la Gradisca; io voglio una moglie come la Gradisca.
- Il nonno: e bà de mi bà diceva così: Per campè sèn bsegna pisé spes com’i chen. Per campar sano bisogna pisciar spesso come il cano.
- Titta: ci son rimasto come un patacca; mi volevo buttar giù dal molo…
- Aurelio: un babbo fa per cento figlioli e cento figlioli non fanno per un babbo, questa è la verità.
- Gradisca: è l’inverno che muore, sai, e arriva la primavera. Me la sento già addosso io, la primavera!
- Giudizio: camerati, hanno detto pane e lavoro; ma non è meglio pane e un bicchiere di vino?
- Titta: ma come si fa a non toccarsi quando si vede la tabaccala con tutta quella roba, che ti dice “Esportazione?”!? E la professoressa di matematica che sembra un leone… Madonna, ma come si fa a non toccarsi quando ti guarda così?
- Aurelio e Miranda: Aurelio: È bello, eh, l’uovo, Teo? Anch’io sono così, ogni volta che vedo un uovo resterei lì a guardarlo per delle ore. Io mi domando delle volte come fa la natura a tirar fuori delle cose così perfette. Miranda: Caro, ma la natura l’ha fatta Iddio, mica un ignorantone come te. Aurelio: Ma va’ a fare le pugnette te, va’.